sabato, Novembre 23, 2024
Rivista Giuridica JUS

L’esatto inquadramento giuridico del servizio di archiviazione e custodia delle cartelle cliniche.

Spread the love

Secondo la definizione fornita dal Ministero della Salute per “Cartella Clinica” si intende: “lo strumento informativo individuale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche significative relative ad un paziente e ad un singolo episodio di ricovero”. In altre parole e secondo altra definizione, per cartella clinica si intende il documento o l’insieme dei documenti che raccolgono le informazioni di tipo medico ed infermieristico necessarie a rilevare il percorso diagnostico-terapeutico di un paziente, al fine di determinare le cure da somministrare. Dalle definizioni sopra indicate appare di tutta evidenza l’importanza e la centralità del suddetto strumento, il cui contenuto risulta fondamentale sia ai fini terapeutici, sia ai fini legali, essendo lo strumento documentale (unitamente ai referti) principale dal quale è possibile verificare e/o escludere se nel corso del ricovero si sono verificati episodi di malpractice e, in caso positivo, individuare i responsabili.

L’importanza della funzione della cartella clinica appare ancor più evidente dalla definizione resa dalla Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza 22694/2005, definisce la cartella clinica “ … un atto pubblico che esplica la funzione di diario dell’intervento medico e dei relativi fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono essere annotati conformemente al loro verificarsi”. La cartella clinica è, in definitiva, considerata a tutti gli effetti atto pubblico di fede privilegiata in quanto redatta da un pubblico ufficiale avente la capacità di esternare la volontà della P.A. attraverso l’attività certificativa.

Premesso quanto sopra appare di tutta evidenza la delicatezza del “Servizio di Archiviazione e Custodia delle Cartelle Cliniche”, la cui conservazione deve necessariamente protrarsi per lunghi archi temporali, pari almeno al periodo di prescrizione decennale delle richieste risarcitorie, limite temporale che in determinate casistiche può aumentare esponenzialmente (si pensi alle infezioni nosocomiali da HIV, nelle quali il decorso del termine prescrizionale comincia a decorrere dall’effettiva scoperta dell’infezione da parte del danneggiato, che avviene spesso anche a distanza di decenni dal contagio).

Di recente, l’esatto inquadramento giuridico del servizio de quo è stato affrontato con sentenza n. 4059 del 15.06.2022 dal TAR Campania, Napoli. In particolare, nel caso oggetto del giudizio la ricorrente chiedeva la condanna della stazione appaltante al risarcimento dei danni subiti nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, per essere stata costretta ad erogare le prestazioni richieste in misura inferiore rispetto alle previsioni della lex specialis di gara, con conseguenti e non preventivabili diseconomie. Più specificatamente, il contratto riguardava l’affidamento del servizio di archiviazione e custodia delle cartelle cliniche. Secondo la tesi prospettata dalla ricorrente, in sede di redazione del disciplinare di gara, la stazione appaltante sarebbe venuta meno agli obblighi di correttezza e buona fede, rappresentando una realtà distorta, portando l’impresa aggiudicataria a presentare un’offerta fondata su errate valutazioni di profitto. In particolare, con ricorso lamentava di aver elaborato un numero di cartelle cliniche nettamente inferiore rispetto a quello originariamente individuato come parametro orientativo dalla P.A., con conseguente indebito abbattimento dei corrispettivi.

Con la richiamata sentenza n. 4059 del 15.06.2022 il Tar Campania, Napoli, Sez. V, respingeva il ricorso, ripercorrendo la distinzione tra concessione di servizi ed appalto di servizi. Ed invero, secondo il TAR la risoluzione della controversia discendeva dal corretto inquadramento giuridico del rapporto in contestazione che, con la sentenza richiamata qualificava come concessione di servizi. Secondo la ricostruzione operata con la citata sentenza il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021), ed infatti mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. Tale indirizzo è, peraltro, coerente con il diritto dell’Unione Europea, secondo il quale un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi mentre, al contrario, è ravvisabile concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del concessionario di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti, di modo che sul concessionario gravi il rischio legato alla gestione del servizio (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 novembre 2011, causa C-348/10).

Secondo la definizione contenuta nell’art. 3, lett. zz) del D.Lgs. n. 50/2016, per “rischio operativo” si intende “Il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”. Dal predetto inquadramento del rapporto come concessione di servizi discende la conseguente operatività della regola di cui all’art. 165 del D.Lgs. n. 50/2016, secondo cui nei contratti di concessione opera il trasferimento al concessionario del rischio operativo definito dal richiamato articolo 3, comma 1, lettera zz). Nella fattispecie in commento, secondo la sentenza de qua, nulla può essere rimproverato all’Amministrazione che ha stimato il volume dei ricavi che il servizio avrebbe potuto generare, allo scopo di orientare gli operatori economici circa la dimensione economica del servizio da affidare, fornendo una stima orientativa e rendendo l’operatore espressamente edotto che l’effettiva remuneratività del servizio dipendeva dal flusso di accesso degli utenti e dalle relative richieste di copie delle cartelle cliniche. In ogni caso, secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato, la previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante non può ritenersi idonea a neutralizzare l’alea imprenditoriale e a trasferire il rischio di impresa dal concessionario all’amministrazione appaltante, stravolgendo l’oggetto specifico della concessione di servizi, contraddistinto, come visto, dall’assunzione di un rischio operativo da parte del concessionario (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2926/2017).

Per tutto quanto sopra, secondo il TAR Campania, sulla base della disciplina di gara, l’operatore ricorrente è stato messo in condizioni di formulare consapevolmente la propria offerta, in quanto edotto sulla natura meramente indicativa del fatturato riferito a precedenti annualità, pertanto, alcuna responsabilità a titolo di responsabilità precontrattuale può essere imputata all’amministrazione per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. nella predisposizione della disciplina di gara.

Avvocato Antonino Oceano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *